Disco di belle sensazioni di novità, tra suoni sospesi tra un passato e un futuro non troppo ben definiti. Disco che strizza l’occhio agli anni ’60, che denuncia la decadenza sociale di questo presente e che non ci regala belle aspettative per il futuro. Si intitola “Disonore”, il nuovo disco di Helle ed è il giusto punto di incontro tra suono digitale e arrangiamenti sottilmente anacronistici. Se tutto questo vale per brani come “Carovane” o quel lievissimo sentore di un “I Like Chopin” quando Helle ci regala la intro di “Tu mi volevi bene”, allora le derive sono decisamente ricche di carattere e novità in momenti come “Tom” o “Chimere” dove forse si raggiunge davvero un punto alto in tutta questa produzione (anche inteso come capacità di andare oltre i confini nazionali). Helle firma un lavoro davvero interessante che ha poco a che spartire con le solite soluzioni di oggi. Cambia faccia la musica pop, cambia anche in un senso che non ci aspettavamo.
Tantissima. Disonore è un disco che ho maturato nel giro di molti anni, è riflessivo, polemico ma ancorato su spalle razionali, onesto: per arrivare ad essere sinceri con sé stessi in questo modo credo serva tempo per maturare determinate considerazioni nei riguardi di chi siamo. L’università mi ha cambiato la vita da questo punto di vista, m’ha aperto la testa a metà come una mela. Devo tanto di ciò che ho scritto a quegli anni, anni di ricerca (anche esistenziale), di sperimentazione.
Certamente. Se ne sentono di meno, in giro, ma credo sia una questione di mercato.
Quando scrivo per Helle non ho l’abitudine di comporre al fine di collocarmi in un determinato spazio, genere, o ambiente. Sono raccolte che nascono da un’idea, una ricerca: amo esplorare e trovare nuovi luoghi musicali e personali. E poi quando il fiume finisce nel mare diventa del mare…
Credo ci sia sempre spazio per nuove voci: è così che funziona l’arte – da sempre. E’ un continuo ribaltamento fra ciò che è affermato e ciò che lo vuole diversificare, una guerra di contrasti.