Fidelio: “Con questa canzone voglio far riflettere sull’impatto di ciò che ascoltiamo”

 

C’è qualcosa di magnetico in David Costa Wallace, il nuovo brano di Fidelio. Un giro di accordi che scivola leggero, una melodia che si insinua nei pensieri e un testo che fotografa con lucidità un fenomeno sempre più diffuso: l’influenza pervasiva di un podcast nella nostra quotidianità.
 
Ti svegli, fai colazione, premi play su Morning. Le parole di Francesco Costa si intrecciano con il rumore del caffè che gorgoglia nella moka. Nel tragitto verso il lavoro, ancora lui: riflessioni, analisi, scenari. Poi il bar, la pausa pranzo, la serata con gli amici. E sempre, in sottofondo, quella voce che diventa parte del dialogo collettivo, quasi una colonna sonora del pensiero comune.
 
Fidelio trasforma questa realtà in musica, con un’ironia sottile che non diventa mai giudizio. David Costa Wallace è un gioco di specchi tra informazione e devozione, tra ascolto e assimilazione passiva. Il titolo non è casuale: il riferimento a David Foster Wallace evoca la complessità del linguaggio e il rischio della narrazione che diventa verità assoluta.
 
Ma il brano non si pone come un’accusa. È piuttosto uno stimolo a osservare, a domandarsi fino a che punto un podcast può modellare il nostro modo di pensare. E nel farlo, Fidelio ci regala una canzone che si fa spazio con eleganza nella mente, proprio come quei discorsi che ascoltiamo ogni mattina senza nemmeno rendercene conto.
 
Il vostro singolo “David Costa Wallace” è in rotazione radiofonica dal 7 marzo 2025. Come nasce l’idea di questa canzone?
L’idea di David Costa Wallace nasce dall’osservazione di un fenomeno che ci riguarda da vicino: il modo in cui consumiamo informazione e cultura oggi, con particolare attenzione al ruolo che occupano certi prodotti percepiti come alternativi, raffinati o “fuori dal coro”. Il brano fa parte di Solo i borghesi sopravvivono, un concept che racconta il progressivo adattamento alla vita borghese, e Morning, il podcast di Francesco Costa, è diventato per noi un simbolo importante in questo processo.
Ascoltare Morning può infatti dare l’illusione di accedere a un’informazione più selezionata, quasi radical chic, un po’ come leggere Infinite Jest durante il boom della cultura hipster. È un prodotto ben fatto, molto interessante, che stimola riflessioni. Ma quando qualcosa diventa un riferimento unico e imprescindibile per molti, il rischio è che il dibattito si appiattisca, che la fruizione diventi passiva e che ci si ritrovi dentro una gabbia culturale senza nemmeno accorgersene.
La canzone non è una critica a Francesco Costa, anzi, parte proprio dal fascino che il suo lavoro esercita anche su di noi. Vogliamo però riflettere su quanto sia facile cadere in un nuovo conformismo, anche quando ci illudiamo di essere “diversi” o più consapevoli. David Costa Wallace racconta questa tensione tra il bisogno di informarsi e il rischio di assorbire passivamente una visione unica delle cose.

Il titolo è un riferimento a David Foster Wallace. Qual è il collegamento tra lui e Francesco Costa?
Il collegamento tra David Foster Wallace e Francesco Costa sta tutto in un paradosso culturale: entrambi rappresentano, in modi diversi, prodotti che nascono come “alternativi” ma che, col tempo, diventano punti di riferimento dominanti.
Wallace è stato per anni il simbolo di una letteratura sofisticata e complessa, il manifesto di un’intelligenza fuori dagli schemi. Leggerlo significava distinguersi, sentirsi parte di un’élite culturale. Lo stesso si potrebbe dire di Morning: ascoltare Costa dà infatti la sensazione di attingere a un’informazione più raffinata e indipendente.
Questa consapevolezza porta con sé una riflessione: quando un punto di riferimento diventa così centrale, esiste il rischio che diventi anche un nuovo canone, un nuovo modo dominante di interpretare la realtà. David Costa Wallace gioca su questa ambiguità: il fascino e l’autorevolezza di un prodotto culturale da un lato, la possibilità che diventi una gabbia dall’altro. 
 
Quale messaggio sperate di trasmettere con questa canzone?
Con questo pezzo vogliamo trasmettere un messaggio che è, allo stesso tempo, una riflessione e una provocazione: quanto siamo davvero liberi nel nostro modo di informarci e di costruire il nostro pensiero?
Viviamo in un’epoca in cui l’accesso alla cultura e all’informazione è più ampio che mai, eppure, spesso, finiamo per affidarci a pochi riferimenti dominanti. Il nostro brano racconta il paradosso di chi cerca di distinguersi attraverso il consumo di prodotti culturali “alternativi”, per poi scoprire che quegli stessi prodotti diventano mainstream e, in certi casi, nuovi strumenti di omologazione.
Il nostro obiettivo non è criticare né Francesco Costa né David Foster Wallace, ma piuttosto invitare chi ci ascolta a interrogarsi su come fruiamo dei contenuti che ci circondano. Siamo davvero attivi e critici, o ci accontentiamo di sentirci “diversi” solo perché scegliamo prodotti percepiti come più raffinati?
David Costa Wallace non dà risposte definitive, ma vuole creare un corto circuito nelle certezze dell’ascoltatore. Non per demolire, ma per stimolare. Perché il rischio più grande non è il conformismo esplicito, ma quello invisibile, quello che si maschera da anticonformismo.

Il brano fa parte di un concept più ampio. Potete raccontarcelo?
Sì, David Costa Wallace è parte di un concept più ampio intitolato Solo i borghesi sopravvivono, che esplora il lento, sofferto e spesso contraddittorio processo di adattamento alla vita borghese. C’è una forte influenza di Fiorirà l’aspidistra di George Orwell: come nel romanzo, anche nel nostro concept la borghesia non è solo una questione economica, ma uno stato mentale, un sistema di valori da cui si cerca di fuggire, salvo poi ritrovarsi inevitabilmente dentro di esso.
L’arco narrativo di Solo i borghesi sopravvivono parte dal rifiuto radicale di una certa idea di vita borghese, con tutte le sue convenzioni e le sue sicurezze apparenti. Questo rifiuto può essere snobistico, ideologico o semplicemente istintivo. Ma nel tempo, le certezze si incrinano, le alternative si riducono, e la resistenza lascia il posto a una graduale accettazione. Non per resa, ma perché l’amore - inteso nel senso più ampio, come legami umani, affetti, responsabilità- può essere la forza che ci riconcilia con ciò che inizialmente rifiutavamo.
Nel caso di David Costa Wallace, questo percorso si traduce nella consapevolezza che anche chi si crede “altro” - chi ascolta podcast colti, chi legge Wallace, chi si nutre di cultura alternativa- spesso finisce per essere parte dello stesso sistema che cercava di evitare. La borghesia non è solo uno status, ma anche una forma di omologazione culturale che si riproduce sotto nuove vesti.
Non c’è una condanna in questo racconto, né una celebrazione della borghesia come meta inevitabile. È piuttosto una riflessione su quanto sia difficile restarne fuori e su come, a volte, siano proprio i legami più profondi - l’amore, la famiglia, il desiderio di stabilità- a trasformarci, spesso senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
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