Con “Chiamami”, il nuovo singolo di Berto, si apre una riflessione profonda sul senso di appartenenza, sulla libertà personale e sull’importanza delle radici. Nato a Montebelluna, l’artista racconta un legame forte con la sua terra e la sua famiglia, ma anche il bisogno di allontanarsene per riscoprirsi. La musica diventa così strumento di cambiamento, mezzo per spezzare la routine e uscire da dinamiche limitanti. In questo brano, Berto mescola generi e influenze come specchio di un’identità in costante movimento, nutrita da culture diverse e da esperienze vissute in più luoghi. Al centro, rimane però sempre l’emozione, come nel ricordo intenso del padre, la cui forza ha segnato in profondità la scrittura del brano. Un viaggio personale e musicale, fatto di distanze, ritorni e consapevolezze, che si riflette nella sua musica.
Ti senti ancora legato
alla tua città natale, Montebelluna? In che modo?
Sono legato alla mia famiglia, ma non mi ci rivedrei più a Montebelluna. In una città piccola, è facile sentirsi intrappolati in una routine che non ci appartiene. Molti amici sono frustrati da una vita monotona e, come si percepisce in Chiamami, la musica per me è un modo per spingere le persone a cambiare, a uscire da quel circolo casa-ufficio-casa, molto spesso logorante. In una città piccola è difficile crescere, perché non ci sono stimoli per aprire la mente a nuove culture.
C’è qualcosa della cultura
italiana che porti sempre con te, anche nei tuoi brani?
Sì, sicuramente il legame con la famiglia e i propri affetti. Questo è qualcosa che sento molto forte e che cerco di trasmettere anche nella mia musica. Quando sono all’estero, ho notato che il legame con la famiglia non è lo stesso che in Italia. Ad esempio, in situazioni conviviali, come durante i pasti, vedo che il cibo non ha la stessa importanza. Per noi italiani, il cibo è sinonimo di convivialità e condivisione; non si tratta solo di nutrirsi, ma di stare insieme, di scambiare emozioni e storie. All’estero, invece, non sempre è così centrale, e questo mi colpisce ogni volta.
Il mix di generi nel tuo
stile sembra riflettere la tua identità in movimento. È una scelta consapevole
o qualcosa che accade naturalmente?
La musica mi ha sempre accompagnato in tutta la mia vita, non parlo solo del rap o dell’indie. Amo sperimentare stili diversi, e questo fa parte del mio processo di ricerca del sound che mi rappresenta davvero. Non è tanto una scelta consapevole, quanto qualcosa che accade naturalmente.
Cosa significa per te
appartenere a più luoghi contemporaneamente?
Per me, appartenere a più luoghi contemporaneamente significa vivere un continuo scambio e condivisione con diverse culture. È come se ogni posto in cui sono stato, ogni esperienza che ho vissuto, mi avesse lasciato qualcosa che mi accompagna. Non si tratta solo di geografia, ma di come ci si connette con le persone, le tradizioni e le esperienze di altri luoghi. Mi arricchisce e mi permette di vedere il mondo da prospettive diverse, senza sentirsi mai veramente legato a un solo luogo.
Qual è il ricordo più
forte che associ alla tua infanzia e che magari, inconsciamente, è entrato in
“Chiamami”?
Il ricordo più forte della mia infanzia è legato a mio padre. In Chiamami, quando parlo di lui e dico “mi ha insegnato a lottare quando vedi solo il buio”, mi riferisco a qualcosa che mi ha lasciato dentro. Mio padre ha combattuto una battaglia difficile e ne è uscito vincitore. La sua forza, la sua determinazione sono per me una continua fonte di ispirazione. Ogni volta che penso di arrendermi, anche per un solo secondo, penso a lui e trovo la motivazione per andare avanti. È un esempio che mi guida, anche nei momenti più difficili.
Sono legato alla mia famiglia, ma non mi ci rivedrei più a Montebelluna. In una città piccola, è facile sentirsi intrappolati in una routine che non ci appartiene. Molti amici sono frustrati da una vita monotona e, come si percepisce in Chiamami, la musica per me è un modo per spingere le persone a cambiare, a uscire da quel circolo casa-ufficio-casa, molto spesso logorante. In una città piccola è difficile crescere, perché non ci sono stimoli per aprire la mente a nuove culture.
Sì, sicuramente il legame con la famiglia e i propri affetti. Questo è qualcosa che sento molto forte e che cerco di trasmettere anche nella mia musica. Quando sono all’estero, ho notato che il legame con la famiglia non è lo stesso che in Italia. Ad esempio, in situazioni conviviali, come durante i pasti, vedo che il cibo non ha la stessa importanza. Per noi italiani, il cibo è sinonimo di convivialità e condivisione; non si tratta solo di nutrirsi, ma di stare insieme, di scambiare emozioni e storie. All’estero, invece, non sempre è così centrale, e questo mi colpisce ogni volta.
La musica mi ha sempre accompagnato in tutta la mia vita, non parlo solo del rap o dell’indie. Amo sperimentare stili diversi, e questo fa parte del mio processo di ricerca del sound che mi rappresenta davvero. Non è tanto una scelta consapevole, quanto qualcosa che accade naturalmente.
Per me, appartenere a più luoghi contemporaneamente significa vivere un continuo scambio e condivisione con diverse culture. È come se ogni posto in cui sono stato, ogni esperienza che ho vissuto, mi avesse lasciato qualcosa che mi accompagna. Non si tratta solo di geografia, ma di come ci si connette con le persone, le tradizioni e le esperienze di altri luoghi. Mi arricchisce e mi permette di vedere il mondo da prospettive diverse, senza sentirsi mai veramente legato a un solo luogo.
Il ricordo più forte della mia infanzia è legato a mio padre. In Chiamami, quando parlo di lui e dico “mi ha insegnato a lottare quando vedi solo il buio”, mi riferisco a qualcosa che mi ha lasciato dentro. Mio padre ha combattuto una battaglia difficile e ne è uscito vincitore. La sua forza, la sua determinazione sono per me una continua fonte di ispirazione. Ogni volta che penso di arrendermi, anche per un solo secondo, penso a lui e trovo la motivazione per andare avanti. È un esempio che mi guida, anche nei momenti più difficili.