Con “11 (Undici)”, Ched firma un brano denso e stratificato che intreccia hip hop, pop e suggestioni gospel in un equilibrio sorprendente. Il risultato è un tappeto sonoro avvolgente, costruito su samples sapientemente sovrapposti e interrotto dalle chitarre acustiche, che spezzano la linearità dei vocalizzi corali. L’uso di accordi in tonalità maggiore amplifica il contrasto con un testo cupo e introspettivo, generando una tensione emotiva costante tra luce e ombra, speranza e disillusione.
Il giovane artista si muove tra “pessimismo cosmico e romanticismo viscerale”, raccontando in musica un viaggio interiore che sfiora il limite della resa, ma conserva una profonda sensibilità poetica. “11 (Undici)” diventa così una riflessione sull’ineluttabilità e sulla bellezza fragile dell’esistere, in cui ogni suono sembra scavare dentro le parole.
Di seguito, la nostra intervista per Fatti Musicali a Ched, tra ricerca di identità, campionamenti ricercati e scrittura essenziale.
Ancora non ho una vera è proprio identità artistica e credo che solo artisti veramente maturi possano averla
Quali esperienze della tua adolescenza hanno influenzato “11 (Undici)”?
La mia famiglia che mi faceva ascoltare molta musica e generi diversi.
Quanto conta per te la scrittura dei testi nella costruzione del brano?
Molto e poco allo stesso tempo il testo deve essere una carezza alla composizione non inondarla di pare inutili quindi essere brevi e concisi è fondamentale
La tua musica è descritta come “pessimismo cosmico e romanticismo viscerale”: come si riflette in questo singolo?
È un viaggio romantico verso la morte una battuta di arresto alla speranza e a lasciarsi andare all’inevitabile.
Quali sfide hai affrontato nella creazione di questo pezzo?
Sfide nella ricerca di samples e campionamenti col mio produttore

