Con “Piombo”, il duo strumentale Uno&Mezzo dà vita a un brano breve ma devastante, un concentrato di tensione e materia sonora che sembra emergere dal sottosuolo. In poco meno di due minuti, basso e batteria si intrecciano in un dialogo feroce e ipnotico, dove ogni colpo e ogni vibrazione raccontano un conflitto interiore.
L’universo sonoro di “Piombo” è scuro, industriale, pulsante, attraversato da distorsioni e riverberi che evocano claustrofobia e liberazione allo stesso tempo. Non c’è spazio per la leggerezza: tutto è peso, densità, urgenza. È la colonna sonora di un presente saturo, dove le emozioni più grezze trovano forma attraverso il rumore e il ritmo.
Per Uno&Mezzo, la sperimentazione non è un esercizio di stile ma un istinto primario. Il basso, suonato come fosse una chitarra a quattro corde, diventa un corpo vivo e deformato, mentre la batteria ne accompagna il respiro, alternando violenza e controllo. “Piombo” non nasce da un’idea o da un modello, ma da una necessità: quella di tradurre in suono la rabbia, la frustrazione e l’energia che attraversano la vita quotidiana.
Sai, quando suoni in un duo con solo due strumenti è fondamentale costruire un dialogo, una sorta di botta e risposta che regga la canzone. Basso e batteria non potevano essere semplicemente la base ritmica a sostegno della melodia, perché non c’erano altri elementi. Ci è venuto naturale usare un linguaggio più elaborato sui nostri strumenti.
Quali strumenti o tecniche avete usato per ottenere quel basso “ossessivo e deformato” che definisce il brano?
Il suono di basso nasce dalle mani di un chitarrista, che un bel giorno ha preso in mano un basso a scala corta e ha iniziato a suonarlo come fosse una chitarra a 4 corde molto grosse. Da quel momento Adri ha iniziato cercare un feeling del tutto personale e che possibilmente uscisse del tutto fuori dallo schema sonoro e dalle tecniche classiche dello strumento, anche proprio per “rispetto” dello strumento e di chi ne fa un utilizzo congruo e professionale. Non c’era tempo per diventare “bravo” sullo strumento, l’urgenza della scrittura ha preso il sopravvento. Come avrebbe fatto un buon chitarrista abbiamo aggiunto effetti, distorsioni e compressioni che potessero dare un sound più personale e “chitarroso”. Il succo era cercare di fare sintesi fra l’esigenza di dare il suono “grosso” del basso e i colori tipici della chitarra.
“Piombo” ha una durata contenuta ma un impatto enorme. Quanto è difficile condensare così tanta intensità in meno di due minuti?
Intanto grazie per aver percepito un bell’impatto. Non saprei darti una ricetta di come abbiamo costruito il brano. E’ venuto fuori da solo in un momento di vita dove avevamo tanta rabbia e frustrazione per quello che accade quotidianamente nel mondo, probabilmente questo sentimento ci ha guidati inconsapevolmente.
Ci sono state influenze specifiche – magari di band o produttori – che hanno guidato la direzione sonora del pezzo?
In tutta onestà, no. Quando facciamo musica non partiamo con l’idea di voler assomigliare a qualcosa o qualcuno. Poi è inevitabile che tutto ciò che abbiamo ascoltato e amato ci influenza inconsciamente, ma si tratta di tanta di quella musica che fare solo pochi nomi sarebbe impossibile. Abbiamo però un “asso nella manica” che si chiama Diego Galeri, che in seguito ad una precedente collaborazione in un altro progetto, i KITSCH, è rimasto nella nostra orbita e ci siamo, più di una volta, avvalsi della sua grande esperienza e professionalità per avere un confronto artistico sul nostro attuale progetto.
Quanto conta per voi il processo di registrazione rispetto all’improvvisazione?
Sono entrambi momenti importanti. L’improvvisazione è il momento più creativo e dove entri più in contatto con la tua parte emotiva, poi però il tutto va razionalizzato ed incasellato in schemi precisi per poter fare la miglior registrazione possibile. La parte difficile è quella di mantenere viva l’energia dell’improvvisazione dentro la registrazione.

